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Il segreto di Amanda di Monique Pistolato

Il segreto di Amanda di Monique Pistolato

Racconto di Monique Pistolato

Il segreto di Amanda Nonostante le lancette dell’orologio segnassero le 7.20, pareva che la giornata non volesse togliersi la notte di dosso.

Sul marciapiede davanti alla stazione, i pochi viaggiatori se ne stavano imbacuccati fermi, rasenti al muro, quasi che la parete di mattoni e manifesti potesse proteggerli da un freddo di lame. La hostess a terra, del Flixbus, camminava avanti e indietro battendo gli scarponi sull’asfalto come un soldatino a carica, con lo sguardo fisso sul cellulare.

Il Losanna – Pola, via Mestre, portava trenta minuti di ritardo. Gli aggiornamenti in tempo reale sui telefoni facevano tintinnare la strada come se all’improvviso passasse un slitta di renne invisibili. Le feste con le loro attese. Il marciapiede, allora, si riempiva di nuvole di fiati e d’impazienza. Solo una voce alta e stridula si alzava da quel gruppo intirizzito e assonnato.

“Ma arriva il bus per Parenzo, vero? Devo andare a casa, a Parenzo! “

Una palla in piumino giallo fluorescente, senza denti, con i capelli scarmigliati da maga Magò, un carrello della spesa e due borsoni, ripeteva questa domanda ai vicini di sosta e a chiunque passasse come un vecchio pappagallo ammaestrato. Tutti cercavano di rassicurarla, ma tenendosi a debita distanza certi che fosse solamente una povera svitata. Finalmente, due fari alti e potenti come occhi di civetta interruppero l’attesa. L’autista scese con il volto stropicciato, aprì il portabagagli e si accese una sigaretta. L’hostess, intanto, iniziò il check-in: biglietto e documento di identità. Una mamma, con un elegante cappotto cammello e un cappello di pelo, si affrettò tenendo per mano una ragazzina bionda chiusa dentro una giacca a vento rossa. Un uomo calvo, in loden, con una cartella da professore salì veloce. Poi fu il turno di un giovane barbuto con uno zaino pieno di ingombri.

Quando arrivò il momento della donna, con il piumino giallo, tutti gli sguardi dai finestrini del bus puntarono su di lei. Esibì un biglietto che la hostess esaminò con cura e una fotocopia sbiadita e macchiata. ” Mi spiace signora, ma senza un documento valido non può salire… Ci sono due frontiere da attraversare. La donna cominciò ad agitarsi: aprì il borsone, poi il piumino, frugò nel carrello. Alzava la voce dicendo «ma lei ha capito o no che devo andare a Parenzo?». Quando la hostess stava quasi per dare il via alla chiusura delle porte, ecco che da una tasca interna estrasse una carta d’identità valida: Amanda Babić, così si chiamava. Brontolando salì a bordo con le sue sporte lasciando una scia di fritto e mughetto. Una volta accomodata, nonostante le prenotazioni, nell’autobus ci fu un rapido scambio posti. Lei si trovò sola, con una fila vuota davanti e una dietro. L’autista accese la radio e spense le luci. Un’aria farinosa, di dicembre, li mise in viaggio sulla A4 che sembrava un millepiedi infinito. Dal cielo rischiarato, cadeva un nevischio appiccicoso come bava di lumaca, il tiepido del riscaldamento aveva fatto scivolare molti nel sonno. Di tanto in tanto, lo sfiato di qualche tappo o di un cartoccio annunciava colazioni al sacco e poi la voce stridula di Amanda come un cucù.

“Ma arriviamo a Parenzo, vero? ” Bastava un cenno di capo di qualsiasi passeggero e lei si rassicurava. L’autista rallentò, coda per i lavori della terza corsia, ritardo su ritardo. Pazienza. La ragazzina con il giubbotto rosso aprì un tubetto di Smartis, con ingordigia si riempì la bocca di bottoni colorati. Fu un attimo, una frenata decisa. Poi, solo la sua tosse senza aria di un boccone andato per traverso. Si dimenava come un verme pestato sotto lo sguardo terrorizzato della madre che restava impietrita. L’autista dallo specchietto non sapeva che fare, era imbottigliato tra le auto, nessuna corsia d’emergenza, quando Amanda con i suoi capelli scarmigliati e braccia da lottatrice di sumo, con un guizzo si posizionò alle spalle della ragazzina. L’abbracciò incrociando le mani sotto lo sterno. Le fece roteare una, due, tre volte, tirandole poi un colpo di frusta tra le scapole, finché il chicco di cioccolata finì sul poggia testa davanti come per un colpo di cerbottana.

Ci fu un attimo di silenzio, poi un applauso che sciolse quegli istanti di terrore. La ragazzina tornò a respirare e prese colore, la madre iniziò a piangere e l’autista con l’accento del sud ringraziò la Madonna con la calamita che lo guardava dal cruscotto. Amanda, come niente fosse, con un inchino tornò al suo posto domandando: «ma arriviamo a Parenzo, vero?». Alla prima indicazione di Autogrill l’autista mise la freccia, ritardo o non ritardo, lo scampato pericolo andava festeggiato. Ora, tutti volevano offrire qualche cosa ad Amanda, lei sorrideva come una bambina su gengive viola gonfie e con la testa faceva «no no, grazie» indicando le sue borse e i sacchetti da cui non si separava. “Devo andare a Parenzo, sono trent’anni che non torno. Il bus mi porta a Parenzo, vero?” Che fosse stata un’infermiera o un’atleta nessuno lo seppe mai. Certo è che ogni passeggero di quel viaggio si sarebbe ricordato del gesto di Amanda. Di una donna da cui non ci si aspettava niente che quel Natale tornava a casa.

Natale 2019 Monique Pistolato